DANCALIA, uomini nel deserto del sale

#59
17
febbraio
2020

Impugnano bastoni, lunghi e robusti, per sollevare la crosta dell'antico mare. Incidono una fessura a colpi di accetta e poi fanno leva. È una grande fatica. Gridano per lo sforzo. Sono i fokolo, gli estrattori. Fanno il primo lavoro, allargano i confini della cava. Poi affideranno la lastra del sale agli hedele, gli intagliatori che scolpiranno mattoni di sale.

Occorre evitare il giorno, le saline sono uno specchio accecante e non c'è modo di lavorare per il caldo, meglio l'alba e il tramonto. Profili neri di uomini, in un controluce perfetto, sullo sfondo delle montagne e degli argini di sale. Si lavora dalle sei alle dieci del mattino, si lavora la notte al chiarore della luna.

Sono coloni che scendono dall'altopiano per sopravvivere, gente che non ha più nemmeno un orto da coltivare. Gente assediata dalla miseria, profughi di guerra, militari senza più le divise dell'esercito, esuli di una terra diventata arida, delinquenti, prostitute in cerca di mercati, tipacci che sopravvivono solo in questi luoghi.

La piana è ricamata da zolle esagonali che lasciano filtrare rivoli di acqua.

I cammellieri e gli animali calpestano gli orli dei poligoni disegnati sul sale.

I loro passi producono un rumore simile allo scricchiolio di foglie secche.

Il sale sembra una lastra di vetro che rischia di andare in frantumi.

Andrea Semplici, dal libro: "DANCALIA, camminando sul fondo di un mare scomparso."